Legge 133 e Università di Bologna
Ecco il documento discusso questa mattina in seduta congiunta dagli organi accademici dell’Alma Mater.
La legge 133 ha conseguenze visibili e meno visibili sul sistema universitario. Il nostro rispetto istituzionale per tutte le leggi della Repubblica non può fare velo alla preoccupazione per alcune di queste conseguenze. Il compito dell’università è anche studiare, descrivere e spiegare. In questo spirito vanno rese più evidenti alcune conseguenze che potenzialmente deleterie per l’università italiana.
Si propongono alcuni punti centrali per le azioni da intraprendere, punti che sono passati quasi sotto silenzio grazie a un’impostazione tutta contabile del contenimento della spesa pubblica. Non dimentichiamo in primo luogo che l’Università di Bologna ha segnalato questi problemi, ha offerto dati per riflettere e invitato al dibattito già dall’inizio.
Prima dell’estate abbiamo aperto la discussione interna chiamando a discutere i Senatori, i Consiglieri di Amministrazione e i Direttori di Dipartimento. Abbiamo anche riunito a Bologna gli OO.AA. delle quattro università della regione.
1. E’ a rischio la tenuta stessa del sistema universitario, in primo luogo per carenza di risorse. Nel 2010 il taglio previsto del trasferimento statale sarà del 10%. Ciò significa azzerare il margine di azione degli atenei, che ricevono un finanziamento annuale di cui, pagati gli stipendi, resta appena il 10%, salvo la contribuzione studentesca. Togliere questo 10% significa semplicemente azzerarci.
2. Ma non è questione soltanto di finanza: governance, reclutamento, valutazione e impegno dei singoli atenei al risanamento, sono i nodi critici.
3. La governance degli atenei è oggi in grave difficoltà. Sistemi, organi di governo e contrappesi nati decadi fa non sono più in grado di assicurare la rappresentanza – base irrinunciabile della democrazia e dell’autonomia – e insieme il buon governo e l’accountability. Per questo un intervento è indispensabile, il benchmarking europeo ci offre molti spunti.
4. I tagli economici eguali per tutti mortificano gli atenei che hanno meglio lavorato. Fare tagli generalizzati è più facile ma vuol dire – nei fatti – non essere interessati ai risultati. Il rientro in un assetto finanziario più equilibrato e stabile dovrebbe invece imporre ai singoli atenei azioni specifiche, modulate sulle specifiche situazioni di fatto. Per questa ragione sosteniamo la tesi di interventi differenziati nella forma di patti di stabilità per ciascun ateneo.
5. Il turn over bloccato al 20% è anche questa una misura facile. Ma è un altro taglio indiscriminato. In più, questo sistema incide negativamente proprio sugli atenei che stanno coraggiosamente investendo sui giovani ricercatori
6. I finanziamenti esterni, ai quali siamo invitati a ricorrere, rischiano oggi di essere una mera parola d’ordine. Un ateneo come il nostro riceve dallo Stato circa 400 milioni l’anno. Anche cercando finanziatori privati per appena un 10% di questa cifra, non si vede chi possa garantire 40 milioni/anno.
7. Il sistema di reclutamento attuale ha mostrato i suoi limiti. E’ nei fatti una causa di provincializzazione degli atenei, mentre l’assenza di un vero sistema di valutazione degli atenei non incentiva sempre a scegliere il meglio tra i candidati.
8. La mancanza di un efficace sistema di valutazione ha altri importanti effetti. Ad esempio, non ci consente di monitorare la performance del sistema, di ricompensare i comportamenti più meritevoli, di calcolare il rapporto costi/benefici della didattica e della ricerca.
Non è un compito impossibile: lo prova il fatto che a Bologna abbiamo già in fase avanzata la sua realizzazione. Il primo e più urgente degli interventi da realizzare appare il “Patto di stabilità” tra singoli atenei e Governo per interventi di risanamento mirati alle specifiche situazioni.
Ogni ateneo si dovrebbe impegnare, in un arco di tempo realistico (3-5 anni) a recuperare un corretto assetto economico-finanziario, con modalità e vincoli differenziati da situazione a situazione.
Questa impostazione salvaguarda l’autonomia degli atenei, innalza l’efficienza media del sistema (poche eccellenze non fanno un sistema eccellente), rinforza la credibilità dell’università agli occhi del Paese. Senza un intervento di questo tipo, le difficoltà economiche attuali e future fanno intravedere la scomparsa tout court dell’università pubblica, autonoma e capace di creare sviluppo.