Brand e relazioni sui Social Network
Ultimamente una domanda mi perseguita: I brand possono davvero stabilire delle relazioni all’interno dei Social Network? Oppure stiamo usando un termine improprio che comporta fraintendimenti e obiettivi irrealizzabili?
Sinceramente non ho ancora trovato una risposta definitiva, ma è il caso che inizi a mettere nero su bianco alcune tessere del puzzle che sto componendo.
Per trovare una risposta soddisfacente sto affrontando il problema incrociando due discipline: da un lato la semiotica (con la quale cerco di comprendere la generazione di senso da parte del singolo) e dall’altro l’ecologia comportamentale (in modo da capire quali sono i comportamenti e le dinamiche dei branchi sociali in determinati ambienti).
La prima parte del puzzle è legata all’essenza stessa del Brand: la Marca è un oggetto semiotico ed il suo senso non è dato ma è costruito. La sua identità è infatti la somma dei messaggi volontari, involontari e percepiti.
Il senso del Brand è la risultate di questa triade e non è quindi una semplice una frase, ma la somma di vari discorsi: il suo essere una Star (secondo il pensiero di Séguéla) deriva dalla coerenza dei vari messaggi (interni ed esterni in maniera indipendente dal media) e non dalla sua forma reale: il Brand è una star, intoccabile, è nell’olimpo, uno spazio mitico nel quale gli esseri umani non sono ammessi. Tone and Style definiscono infatti non tanto come parla il Brand, ma come l’azienda comunica per far percepire il Marchio in un determinato modo: le persone quindi sono emanazioni della Marca (ricordiamo infatti che Avatar significa incarnazione totale o di una singola caratteristica della divinità).
“Siamo nel 2.0, 3.0, 4.0… i brand devono parlare!” No: le aziende devono parlare, è una cosa diversa: sono loro che devono creare il senso della marca.
La seconda tessera arriva da una conseguenza della mia tesi specialistica: i Brand non sono esseri umani e non vengono percepiti come tali. Sembra quasi una banalità, una verità logica (a≠b), ma ha delle grosse implicazioni. Una delle cose interessanti emersi dalla mia tesi (dove analizzavo la percezione di diversi sistemi di Online Customer Care Human like) era che le persone non dialogano con gli Assistenti Virtuali dal momento che questi dispositivi non sono in grado di sviluppare uno scambio comunicativo alla pari e le persone si rendono immediatamente conto (ancora prima di iniziare l’interazione vera e propria) che non può esserci una relazione, ma un semplice scambio informativo. Allo stesso modo, il dialogo con un Brand su un Social Network difficilmente crea una relazione, ma un’interazione simile a quella che potrei avere con un Assistente Virtuale: dal momento che non posso sapere chi si nasconde dietro il logo (uomo, bot, il famigerato stagista, il responsabile marketing, il CEO…) questo implica uno sforzo cognitivo maggiore rispetto ad un interazione faccia a faccia.
“Ma io vado sulla bacheca a scrivere cose” Certo, ma nella maggior parte dei casi vai, chiedi e poi tronchi ogni rapporto e questa non mi sembra una relazione: la maggior parte delle statistiche che ho visto in questi mesi sembrano confermare questo trend (interazioni prevalentemente finalizzate per ottenere sconti, promozioni, singole informazioni).
Il terzo segmento del puzzle è legato alla cooperazione negli animali dove dobbiamo distinguere tra cooperazione intraspecifica (stessa specie) ed interspecifica (specie diverse): “extragroup cooperation may be substantially more resource intensive and risky than intragroup cooperation” (Pirolli 2001, Information Foraging Theory”). L’interazione con un soggetto che non appartiene alla nostra specie richiede quindi uno sforzo maggiore e quindi, normalmente, si tende a preferire uno scambio informativo intraspecifico, un elemento che rinforza quanto detto sopra.
“Ma il Rallo Nero, noto uccello posatore, coopera con l’ippopotamo, liberandolo dai parassiti, quindi c’è cooperazione interspecifica”. Certo, la cooperazione interspecifica esiste, ma non sfocia direttamente in una relazione e richiede sforzi maggiori. Se quindi in un Social Network necessito di informazioni per l’utente è più facile interagire con un suo simile che con un soggetto esterno che non riesco a identificare in maniera chiara.
Date queste prime considerazioni possiamo dire che i Social Media rappresentano un terreno fertile dove costruire l’identità del Brand attraverso i discorsi prodotti dalle persone dell’azienda che incarnano la Marca. A questo punto non è tanto il Brand a stabilire le relazioni, quanto le persone che operano in sua vece: le interazioni che si sviluppano sono di carattere informativo e di Customer Care.
Diventa quindi fondamentale impostare le strategie di Marketing tenendo conto di questi fattori e valutare se sia opportuno creare una pagina per il Brand e una Tab dove vengono presentate le persone che si occupano della gestione della pagina e della comunicazione, in modo che queste vengano riconosciute come interlocutori affidabili. In questo modo diventa possibile creare dei discorsi che vanno a costruire l’immagine di Marca e a stabilire delle relazioni.
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Tutto chiaro…solo sorrido quando dici che la cooperazione interspecifica esiste, ma non sfocia in una relazione: è proprio il contrario di ciò che sosterrò nella mia tesi, dove svelerò i "segreti"per creare relazione tra uomo e cavallo. D'accordo sul fatto che tale cooperazione richiede sforzi maggiori!
Rileggendo manca infatti una piccola ma significativa specificazione: "Certo, la cooperazione interspecifica esiste, ma non sfocia [direttamente] in una relazione e richiede sforzi maggiori" 🙂